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Elon Musk e il declino di Tesla: l’azienda rischia davvero la bancarotta?

Elon Musk non sarà più presidente di Tesla, resterà comunque nella società in qualità di Amministratore Delegato. Il declino è iniziato il 7 Agosto, dopo il “tweet” con il quale Musk annunciava (senza alcun preavviso nei confronti degli azionisti o del Nasdaq) che avrebbe ritirato Tesla dal mercato borsistico per cederla al fondo sovrano saudita PIF a 420 dollari ad azione. Il valore delle azioni Tesla da allora è sceso attorno a quota 270 dollari. Musk ha messo da parte frettolosamente il piano di delisting, travolto dalle polemiche e dal crollo azionario.

La decisione di abbandonare la presidenza, frutto dell’azione legale avviata dalla SEC (con l’accusa di “frode e dichiarazioni false e fuorvianti agli investitori”) è probabilmente molto dolorosa per Elon Musk, fondatore di quella che è a lungo stata una società di avanguardia del settore automobilistico. Diversi top manager hanno lasciato la società. Il titolo Tesla ha perso il 30% in un mese e mezzo.

Come parte dell’accordo extragiudiziale con la Sec, Musk e la società pagheranno un totale di quaranta milioni di multa e nel board della società entreranno due amministratori indipendenti al fine di arginare lo strapotere del fondatore. Da tempo gli investitori istituzionali premevano per un miglioramento della governance della società: da un lato per i diversi ritardi produttivi, all’altro proprio per il comportamento tenuto dal presidente negli ultimi mesi. Dalla mancata risposta alle richieste degli analisti all’investor day, allo spinello fumato in diretta video durante un’intervista, passando per diverse vicende più o meno imbarazzanti.

Oltre il 60% del capitale di Tesla è in mano a investitori istituzionali: Musk ha la quota di maggioranza con il 20% di azioni ma non potrà essere rieletto chairman per i prossimi tre anni.

Musk si era detto “rattristato e deluso” per l’azione intrapresa dalla Securities and Exchange Commission, ritenendola ingiustificata. Prima di presentare l’esposto la SEC aveva già avanzato una proposta di patteggiamento a Musk, che aveva prontamente rifiutato. Gran parte degli analisti aveva sostenuto la necessità di un passo indietro da parte del miliardario e, dopo 48 ore ed ulteriori perdite in Borsa, l’imprenditore ha finalmente accettato il patteggiamento. Un accordo che evita a Tesla il peso di una lunga battaglia giudiziaria che si sarebbe sommata alle varie problematiche produttive e finanziarie che già affliggono la società californiana. A partire dai ritardi nelle consegne del Model3, l’auto che avrebbe dovuto lanciare Tesla nel mass market, per finire con il pesante indebitamento e la scarsa liquidità. Davanti a sé l’azienda ha due importanti scadenze finanziarie: due maxi bond convertibili da ripagare, in scadenza a novembre e a marzo per 230 milioni di dollari e 920 milioni di dollari.

Guai finanziari che aggiunti a quelli giudiziari (oltre alla Sec anche il Dipartimento di Giustizia indaga Musk con l’accusa di frode sempre per il tweet del delisting) hanno spinto Barclays ad ipotizzare la possibilità di  bancarotta per Tesla nel 2019.

In fondo Musk è stato fortunato perché se la cava con una multa di 20 milioni di dollari per un tweet che ha causato miliardi di perdite agli investitori.

Ma cosa succederà a Tesla? Difficile ipotizzare un futuro da produttore indipendente: l’azienda potrebbe facilmente essere acquistata o assorbita da un grande gruppo. Probabilmente non da un gruppo tedesco: BMW e Volkswagen sono da tempo impegnate sul campo dell’auto elettrica, Porsche e Audi stanno per lanciare le proprie vetture elettriche super innovative e Daimler ha creato un brand ad hoc. Tesla potrebbe attrarre investitori cinesi, ma anche gli americani di Ford, indietro sull’elettrificazione ma forti di capacità produttive utilissime a Tesla. Ovviamente anche General Motors e FCA potrebbero interessarsi, avendo anche dalla loro tecnologie e piattaforme elettriche di nuova generazione, oltre al know how e ad impianti di produzione in grado di superare le difficoltà incontrate da Musk nella produzione su vasta scala della Model 3. Infine non dimentichiamoci di Hyundai Motors, che secondo molti analisti è alla ricerca di nuovi brand dal forte appeal e che, puntando da parecchio tempo ma senza successo FCA, potrebbe cogliere l’occasione ed acquisire Tesla.

Tempi duri, quindi, per la pioniera dell’auto elettrica di lusso che deve vedersela con assurdi guai giudiziari, una situazione finanziaria pericolosissima ed una concorrenza sempre più agguerrita sia dal basso (Nissan Leaf II, l’elettrica più vendita al Mondo e Chvrolet Bolt) ma soprattutto dall’alto; con un’offensiva senza pari da parte dei concorrenti tedeschi.

 

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